09-09-2020
Prima di capire come siamo arrivati all’insonnia, conosciamola!
L’insonnia è sia un sintomo che una patologia e questo confonde un po’ le idee. Sento tantissime persone parlare di insonnia, molte nel modo sbagliato (ed è un bene, perchè si è convinti di avere un disturbo anche quando non è così).
Una (o più, anche consecutive) notti insonni capitano a chiunque nella vita e questo succede per i più svariati motivi: cattiva digestione, eccessivo sonno diurno, preoccupazioni passeggere, neonato che strilla per tutta la notte e così via. Un normo-dormitore, ossia una persona che ha un pattern del sonno adeguato, recupera l’equilibrio sonno-veglia nel giro di pochissimo tempo. Magari già la notte successiva a quella passata in bianco, o gradualmente dopo qualche nottata infernale.
Quando c’è una patologia, che può essere organica (es. Parkinson) o psichica (es. depressione), l’insonnia può comparire come sintomo secondario. Rappresenta, dunque, una conseguenza della patologia primaria oppure dell’assunzione di determinati farmaci. In questo caso le notti insonni possono essere saltuarie o avere una frequenza più strutturata.
Quando, invece, si parla di vero e proprio Disturbo da Insonnia? Il DSM 5 – Manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichici – (eh sì, l’Insonnia è classificata in questo manuale) ci dice che devono verificarsi alcune condizioni affinchè si possa parlare di un disturbo. Te le riassumo, semplificandole:
Un modello semplice e che spiego anche ai miei pazienti, è il Modello delle 3 P elaborato da Spielmann (1986) e ancora validissimo. Le tre P sono tre classi di fattori che insieme contribuiscono a far precipitare le difficoltà del sonno:
Di fatto, quindi, l’insonnia diventa un vero e proprio disturbo (con le caratteristiche viste all’inizio) a seguito dell’interazione tra questi fattori. Questo significa che, ad esempio, un singolo evento stressante, in assenza di predisposizione, non è sufficiente a rovinare il pattern del sonno.