27-05-2022
La maggior parte delle persone che soffre di un disturbo basato sull’emozione dell’ansia (che sia fobia, panico, ansia generalizzata, ecc) si ritrova, ad un certo punto, a provare a gestire la paura con un comportamento di evitamento. Si parla di evitamento quando la persona fa il possibile per non affrontare la situazione temuta: dal supermercato all’esame universitario, passando per counterfeit Rolex un viaggio in autostrada. Tutte quelle situazioni associate all’insorgere incontrollato della paura vengono sistematicamente evitate nella convinzione che questo possa essere sufficiente a tenere a bada il problema. E la cosa pare funzionare, anche piuttosto velocemente.
L’evitamento è in realtà una trappola ben mascherata, che porta la persona ad allargare sempre di più il raggio dei luoghi o delle situazioni evitate fino ad arrivare, nei casi più gravi, ad una fobia generalizzata che rende difficile qualsiasi azione quotidiana. Ogni evitamento conferma la pericolosità della situazione temuta e apre la strada all’evitamento successivo. La spirale di evitamenti impedisce di sperimentare le proprie capacità nel fronteggiare la paura, fa perdere fiducia nelle proprie risorse e conferma l’estrema pericolosità del mondo esterno (e interno) rendendo il disturbo sempre più invalidante.
Quando ti avvicini a livello fisico o temporale a qualcosa che ti fa paura inizierai ad avvertire le tipiche sensazioni dell’ansia. Questo accade perché il tuo organismo individua quella che per te è una minaccia (sostenere un’interrogazione o percorrere la strada per andare al lavoro) e reagisce con l’assetto di difesa pronto ad attaccare o scappare (tachicardia, fiato corto, sudorazione, tremore, ecc… quei sintomi fastidiosi che ricordi bene se hai conosciuto l’ansia). Più ci si avvicina e più i sintomi si fanno intollerabili. Le strade possibili, a questo punto, sono due: affronti la situazione con tutti i rischi connessi (attacco) o te ne tiri fuori evitando il problema (fuga).
“Non mi sento sufficientemente pronta per questo esame, farò una figuraccia davanti al Professore e ai compagni di corso, mi boccerà sicuramente e sarà impossibile laurearmi anche perché questo aumenterà la mia convinzione di non essere brava. Forse conviene prendere un mese in più per studiare e rimandare il tutto all’appello successivo. Sì, farò così, si tratta solo di un mese in più”
Scegli la seconda, eviti: abbandoni la situazione e improvvisamente l’ansia se ne va.
“L’ultima volta che sono andato alle Poste ho avuto un terribile attacco di panico, tutta quella gente in fila, il caldo, l’attesa.. Ci sono poche sedie e l’altra volta quasi svenivo. Non me la sento proprio di avere un altro attacco proprio oggi che ho tante cose da fare. Manderò mio padre a spedire la raccomandata, la prossima volta farò in modo di andare quando farà meno caldo e troverò un orario senza troppa coda”
L’ansia sparisce, all’istante. Non dovendo più entrare in contatto con la situazione temuta cessa l’allarme e la situazione di benessere che ne deriva è più che evidente. E subito arriva il pensiero “mi sono allontanato e sono stato immediatamente bene!” seguito da qualcosa di simile a “posso eliminare gli attacchi di panico o tenere a bada la mia fobia evitando. Super evviva!!!”.
Sfortunatamente, evitando, il panico non solo NON scompare ma per il fenomeno della generalizzazione si avrà un aumento delle situazioni considerate pericolose...anch’esse da evitare.
In presenza di un reale pericolo la strategia dell’evitamento è davvero vincente: se stai passeggiando nel bosco e ti accorgi di una vipera di fianco al tuo piede, scappare è un’ottima strategia salvavita. Evitare di mettere il dito in un alveare è saggio e ci evita un pericolo concreto (io invece, da piccola, ho preferito seguire la curiosità di toccarne l’interno… il mio sistema di attacco-fuga non funzionava granché bene all’epoca). Estendere questi evitamenti a tutti gli alveari o animali feroci che incontri è una decisione sana volta alla sopravvivenza. Quando, però, una situazione viene erroneamente percepita come pericolosa da una mente ansiosa, la questione cambia. Evitare di rispondere al telefono per timore che l’altro possa consideraci stupidi o rinunciare per sempre al cinema per timore di poter avere un attacco di panico non salva la vita ma, al contrario, espone ad una difficoltà sempre più generalizzata.
Sono prevalentemente tre le motivazioni che spingono una persona ad evitare:
A livello cognitivo ci sono almeno altrettanti elementi da considerare, che diventeranno i temi cardine della terapia:
Ci sono evitamenti palesi e facilmente riconoscibili (evitare luoghi o attività specifiche) e altri più nascosti ma ugualmente potenti: è il caso di tutti quei comportamenti di protezione messi in atto al fine di evitare la sofferenza causata dall’ansia (es. evito di uscire di casa da solo, evito di rimanere senza ansiolitico, evito di camminare lontano da un muro, evito i luoghi di villeggiatura lontani da un ospedale, e così via).
Il comportamento di evitamento è un’importante fattore di mantenimento dall’attacco di panico e, più in generale, di tutti i disturbi d’ansia poiché limita la possibilità di fare esperienza dell’ansia e di imparare a gestirla. Lo so, passare un’ora in compagnia di questa fastidiosa amica è proprio quello che vorresti evitare ma la chiave per vincere un disturbo d’ansia è proprio entrarvi in contatto per scoprire che non uccide e che il danno che associ ad essa è legato non tanto all’ansia in sé bensì alla paura di poterla vivere.
Evitare l'evitamento, insomma, è l'unico evitamento concesso in terapia!